Un anno fa, il mondo assistette alla tragica morte di Jina Mahsa Amini, una giovane di soli 22 anni che perse la vita mentre era sotto custodia della polizia iraniana. Questo terribile evento, avvenuto nel 2022, ha scatenato un movimento di protesta senza precedenti che ha avuto un impatto significativo sulle dinamiche socio-politiche dell’Iran.
A meno di una settimana dal primo anniversario della sua morte, la famiglia di Jina Mahsa Amini ha deciso di commemorare la sua memoria organizzando una cerimonia funebre tradizionale sulla sua tomba. La data scelta è il 16 settembre, giorno in cui la giovane donna venne dichiarata morta. Attraverso un post su Instagram, la famiglia ha annunciato il suo desiderio di onorare Jina Mahsa Amini e rendere omaggio alla sua vita truncata troppo presto.
Tuttavia, la famiglia Amini non è l’unica a essere sotto stretta sorveglianza. In tutto il paese, le tombe sono monitorate attentamente per prevenire assembramenti che potrebbero dare luogo a proteste simili a quelle dell’anno precedente. Le autorità iraniane sono determinate a mantenere il controllo e ad evitare qualsiasi manifestazione che possa mettere in discussione il loro potere.
Il caso di Jina Mahsa Amini ha avuto inizio nel 2022, quando la giovane donna fu arrestata durante un viaggio a Teheran per aver violato il codice vestimentario obbligatorio per le donne in Iran. Secondo le norme vigenti, le donne sono tenute a indossare il velo in pubblico. Pochissime ore dopo il suo arresto, Jina Mahsa Amini fu trasferita in ospedale, dove venne dichiarata morta tre giorni dopo, proprio il 16 settembre.
Le proteste ebbero inizio con il funerale di Jina nella sua città natale di Saghes, ma ben presto si propagarono in tutto il paese. Le donne, in particolare le più giovani, si ribellarono al sistema e iniziarono a togliersi il velo, utilizzando lo slogan “Donna, vita, libertà”. Questo gesto di sfida divenne un simbolo di resistenza per molte donne iraniane e le manifestazioni che ne scaturirono si rivelarono le più ampie e durature dal 1979.
Il governo iraniano reagì con una brutale repressione, con le forze di sicurezza che, secondo le organizzazioni indipendenti per i diritti umani, provocarono la morte di almeno 527 manifestanti, tra cui 17 minori, tra il settembre 2022 e la fine di gennaio 2023. Nonostante questa violenta repressione, gli attivisti per i diritti umani credono che le proteste abbiano avuto un impatto permanente sul tessuto socio-politico dell’Iran.
Tra le conseguenze più significative delle proteste vi è la decisione di molte donne di non indossare più il velo obbligatorio, considerandolo un simbolo di oppressione e umiliazione. Questo gesto di ribellione ha sfidato apertamente il sistema e ha aperto un dibattito sulla necessità di riformare i codici vestimentari esistenti. Tuttavia, il governo iraniano ha risposto con una legge ancora più restrittiva, approvata il 22 agosto, che prevede pene più severe per coloro che non rispettano il codice vestimentario islamico, tra cui fino a 15 anni di carcere per reati ripetuti e la proibizione di pubblicare online foto di donne senza velo.
Nonostante questa nuova legislazione, le proteste e il movimento di ribellione continuano a sfidare apertamente il governo iraniano. La morte di Jina Mahsa Amini ha fatto emergere una generazione di donne coraggiose che lottano per la loro libertà e i loro diritti. Il loro impegno e la loro determinazione stanno trasformando l’Iran, aprendo la strada a un futuro più equo e rispettoso dei diritti umani.