A trent’anni di distanza dalla firma degli Accordi di Oslo, la situazione tra israeliani e palestinesi sembra essere giunta a un punto di non ritorno. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un continuo aumento della violenza e della radicalizzazione, che ha solo contribuito ad accentuare il deterioramento di queste tre decadi di incomprensioni e ostilità, allontanando ogni speranza di dialogo o avvicinamento.
Quando, il 13 settembre 1993, Isaac Rabìn e Yasser Arafat si strinsero le mani in un lungo e storico incontro alla Casa Bianca, sembrava che finalmente fosse arrivato il momento di porre fine a un conflitto che aveva accompagnato la storia di queste due nazioni per troppo tempo. Tuttavia, nessuno avrebbe potuto prevedere che, trent’anni dopo, quella giornata di speranza si sarebbe trasformata in un incubo di morte e disperazione.
Negli ultimi anni, israeliani e palestinesi hanno assistito a una spirale di violenza senza precedenti. Nel solo 2023, sono stati registrati 225 morti tra i palestinesi e 34 tra gli israeliani, rendendo quest’anno uno dei più sanguinosi di tutto il secolo. Questi numeri sono solo la punta dell’iceberg di una situazione sempre più insostenibile, in cui gli attacchi terroristici e le rappresaglie militari si susseguono in un ciclo infinito di odio e vendetta.
Molteplici eventi hanno contribuito ad aggravare la situazione nel corso degli anni. L’assassinio di Isaac Rabìn nel 1995 ha rappresentato un duro colpo per la speranza di pace, privando entrambi i popoli di un leader che aveva cercato di aprire una nuova era di dialogo e compromesso. Inoltre, la Seconda Intifada ha portato ad un aumento esponenziale della violenza, con attentati suicidi palestinesi e operazioni militari israeliane che hanno mietuto numerose vittime innocenti.
Tuttavia, non si può attribuire tutta la responsabilità del fallimento degli Accordi di Oslo a una sola parte. Molti sostengono che entrambi i protagonisti abbiano commesso errori che hanno compromesso la possibilità di una reale riconciliazione. In particolare, gli accordi temporanei sono diventati permanenti con l’ascesa al potere di Benjamin Netanyahu, il quale ha dimostrato una scarsa volontà politica di avanzare verso una soluzione negoziata del conflitto.
Ad aggravare ulteriormente la situazione, c’è stato il deterioramento della situazione politica interna sia in Israele che in Palestina. L’ascesa dell’ultradestra israeliana ha alimentato un clima di intolleranza e divisione, rendendo ancor più difficile qualsiasi tentativo di mediazione. Allo stesso tempo, la mancanza di legittimità del presidente palestinese ha contribuito a minare la fiducia del popolo palestinese, che si trova sempre più disilluso riguardo a una possibile soluzione pacifica.
Nonostante tutte queste difficoltà, ci sono ancora persone che credono in una soluzione negoziata del conflitto. Sono convinti che, nonostante le enormi difficoltà che si frappongono sulla strada della pace, sia ancora possibile raggiungere un accordo che rispetti le aspirazioni di entrambi i popoli coinvolti. Tuttavia, per riuscire in questo intento, è necessario un impegno sincero da entrambe le parti e un cambiamento radicale nella politica interna, al fine di superare gli ostacoli che per troppo tempo hanno impedito la pace in questa regione tormentata.